FAQ

1. Che cosa è la dislessia?

La dislessia è un disturbo dell'apprendimento che rende difficoltoso il normale processo di automatizzazione della lettura. Non si tratta né di una forma di ritardo mentale, né dell'espressione di un disagio psicologico, né dell'esito di una ambiente culturale ipostimolante.

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2. La dislessia è l'unico disturbo di apprendimento conosciuto?

No, esistono anche la disortografia, cioè il disturbo rende difficile scrivere le parole in modo ortograficamente corretto, e la discalculia cioè il disturbo che interessa lo svolgimento dei procedimenti matematici e del calcolo. A volte questi tre disturbi possono presentarsi nello stesso bambino. Molto frequente, inoltre, è l'associazione fra la dislessia e la disortografia.

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3. Che cosa è la disgrafia?

È un disturbo che riguarda le abilità esecutive della scrittura, cioè la motricità più fine della mano dominante. Questo disturbo, che rende la calligrafia stentata e difficilmente comprensibile, spesso si associa ai DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento), ma, diversamente da essi, si lega agli aspetti motori dell'atto di scrivere e non a quelli dell'automazione.

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4. Quante persone soffrono di DSA?

In Italia circa il 4% della popolazione ha un DSA. Tuttavia probabilmente il dato è sottostimato, perché ancora oggi troppi bambini e ragazzi non ottengono una diagnosi, dal momento che solo di recente nel nostro paesi si è mostrata una certa sensibilità ed attenzione nei riguardi del problema. In paesi dove si ha scarsa corrispondenza fra il modo di scrivere le parole e la loro pronuncia (come ad esempio l'Inghilterra), la percentuale di popolazione con DSA sale a circa il 17%.

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5. Si tratta di un problema che riguarda solo i bambini? Poi si guarisce?

Dalla dislessia (come dagli altri DSA) non si guarisce mai; quindi un bambino dislessico non leggerà mai come un bambino che non lo sia. In questo senso si è dislessici anche da adulti e da anziani. La terapia, tuttavia, insegna ad aggirare le difficoltà provocate dal disturbo e può portare ad una automazione dei processi diversa da quella fisiologica, ma comunque efficace: i bambini sottoposti ad una terapia mirata, in genere, diventano lettori corretti, anche se possono rimanere un po' più lenti rispetto agli altri (i "normolettori").

Diverso il caso in cui un paziente normolettore, diventi "dislessico" in età adulta o avanzata (comunque in una fase successiva a quella evolutiva); in queste situazioni sarebbe più opportuno parlare di "alessia", ciò di un disturbo che comprometta in maniera totale o parziale la capacità di leggere in seguito ad un evento esterno (ad esempio un ictus o un trauma cranico).

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6. Come ci si accorge che qualcosa non va?

Innanzitutto è fondamentale che i bambini che hanno avuto un pregresso Disturbo Specifico del Linguaggio, siano controllati con particolare attenzione: circa l'80% di loro diventerà dislessico, quindi è bene che prima di affrontare la 1° elementare vengano sottoposti a cicli di terapia logopedica, mirati al rafforzamento delle capacità metafonologiche. Questo lavoro continuerà e si svilupperà anche per l'intero percorso della scuola elementare[1].

Se il bambino non è stato seguito da un logopedista per disturbi del linguaggio, tuttavia i genitori riferiscono che abbia parlato tardi, e a lungo abbia avuto un linguaggio da "bambino più piccolo" è bene non aspettare troppo: ai primi segni di difficoltà nell'apprendimento, in prima elementare, è bene rivolgersi ad uno specialista.

Le difficoltà che devono destare l'attenzione di insegnanti e genitori sono:

        Sostituzione in lettura e scrittura di lettere con grafia simile come p b d g q- a/o - e/a o suoni simili:t/d - r/l - d/b - v/f e altre non prevedibili.

        Difficoltà nei giochi metafonologici tipici della scuola materna e dei primi anni delle elementari (trovare le rime, trovare il suono con cui inizia la parola etc).

        Presenza di caratteri (lettere e numeri) ruotati o ribaltati, anche nella copia.

        Errori grammaticali e ortografici.

        Difficoltà con le sequenze: ordine alfabetico, giorni della settimana, mesi dell'anno, tabelline.

        Difficoltà  nella memorizzazione di termini difficili e nella denominazione veloce.

        Difficoltà nella comprensione del testo, se letto dal bambino stesso[2].

        Impaccio nella motricità fine e nella realizzazione di sequenze motorie precise; spesso confusione fra destra e sinistra.



[1] Questo non significa sei o più anni di terapia logopedica ininterrotta. A seconda delle caratteristiche di ogni singolo caso si programmeranno terapie diverse con calendari diversi, magari con sospensioni per alcuni periodi ed incontri più frequenti in altri.

[2] È molto importante verificare se la comprensione migliora se un insegnante (o il genitore) legge e poi pone i quesiti al bambino. I DSA non sono disturbi cognitivi, quindi non devono interessare la comprensione; tuttavia capita che la lettura sia così stentata da inficiare la comprensione.

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7. A chi rivolgersi in caso di dubbio?

I medici che possono fare diagnosi di DSA sono i neuropsichiatri infantili, i neuropsicologi, i foniatri, ed gli psicologi che abbiano ricevuto una formazione apposita.

Essi dispongono delle conoscenze professionali e del materiale testistico idoneo a fare una valutazione accurata.

Dal momento che spesso la cosa più difficile è cominciare un percorso, presso i consultori familiari delle ASL, sono di solito presenti neuropsichiatri infantili che possono procedere ad una valutazione e fornire spiegazioni e suggerimenti al bambino e ai genitori.

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8. Quando si può avere una diagnosi?

La diagnosi di dislessia, disortografia e disgrafia non può essere posta prima della seconda elementare; per quanto concerne la discalculia, occorre attendere la terza elementare. Infatti entro questo termine le difficoltà di un bambino potrebbero ancora rientrare in un quadro di ritardo fisiologico. Tuttavia, nel caso di difficoltà molto serie ed in presenza di pregressi disturbi del linguaggio, è bene che l'intervento logopedico abbia inizio anche prima della diagnosi.

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9. Quando si ha la diagnosi…

O       Come deve comportarsi un genitore?

J     Documentarsi: a tutti i livelli, leggendo, incontrando genitori con il medesimo problema, navigando su internet; scoprire che "non si è soli" ad affrontare un tale problema rinnova la fiducia e la speranza.

J     Ricercare collaborazione nella scuola e nei servizi, anche in forma di didattica adeguata (e pretenderla, quando è necessario).

J     Aiutare il bambino a casa (senza sostituirsi alla scuola o al terapista), seguendo i consigli del medico e del logopedista.

J     Lodare l'impegno profuso e il più piccolo miglioramento (anche se relativo) raggiunto.

J     Comprendere il problema e farlo comprendere.

J     Spiegare tranquillamente e chiaramente la situazione al bambino, informandolo sul suo disturbo.

 

O       Come non deve comportarsi un genitore?

 

L     Considerare la dislessia una condanna: purtroppo per una parte di genitori che negano il problema anche di fronte ad una diagnosi, ve ne sono altri per i quali essa diventa un momento drammatico, in cui pensano di dover ridimensionare, o addirittura cancellare tutti i progetti fatti sull'avvenire del figlio. "Che ne sarà di lui?" domandano di solito al medico. I DSA sono disturbi importanti, ma non tali da dover causare un tale sconforto: il bambino andrà aiutato e sostenuto, ma se il problema viene capito e si riesce ad ottenere collaborazione si possono ottenere ottimi risultati. Esistono dislessici laureati, e dislessici insegnanti, medici ed ingegneri. È importante che un tale atteggiamento negativo non arrivi al bambino, è importante che egli sia a conoscenza del proprio problema, ma non viva "da malato".

L     L'atteggiamento precedente con la diagnosi vista come una sentenza senza appello, porta spesso a comportamenti iperprotettivi, o di mortificazione: "Questo non puoi farlo, è troppo difficile". Il bambino con DSA può fare cose difficili perché le sue abilità cognitive sono integre. Compito di terapisti, insegnanti e genitori è trovare il modo in cui possa "fare la cosa difficile" senza incorrere nelle difficoltà che il disturbo gli provoca.

L     Vivere nell'angoscia; spesso quando il genitore, con fatica, trova un ambiente sereno e collaborante, comincia a pensare con ansia a quello che succederà nel futuro, quando, obbligatoriamente, si dovrà abbandonare quell'ambiente: "alle medie come faremo?”.

Certo appare naturale affezionarsi e fidarsi di insegnanti e terapisti che hanno mostrato competenza e disponibilità verso i propri problemi, tuttavia, ciò non deve portare ad un atteggiamento di chiusura. È opinione di chi scrive che i bambini con DSA debbano poter frequentare la scuola pubblica e lì avere tutto quanto è previsto dalla legge per la loro formazione. L'affezionarsi ad una scuola, il passa-parola fra genitori, rischia di provocare una sorta di ghettizzazione del problema, invece, più i bambini vivranno nelle scuole con gli altri, più gli insegnanti, saranno costretti a confrontarsi con il problema e tutte le persone coinvolte diventeranno più sensibili.

 

L     Non fare eterne sessioni di compiti “in più”: per il bambino i compiti normali richiedono già un lavoro assai più gravoso di quello che viene svolto dai compagni. Tormentarli con esercizi supplementari che di solito non sono neanche utili è assolutamente da evitare. Invece è opportuno che, con moderazione, e sotto la guida del terapista, si propongano, anche a casa, alcuni esercizi della seduta riabilitativa, per rinforzare le competenze apprese.

 

L     Non strappare le pagine e far riscrivere: il genitore, per quanto preparato ed amorevole, spesso non può rendersi conto dello sforzo che quella pagina, piena di segnacci e cancellature sia costata al bambino. Le pagine scritte da un bambino con DSA non sono certo da valutare come un "prodotto estetico", ma come l'emblema della fatica e dell'impegno. Strapparle e buttarle via manifesta disprezzo per qualcosa che è costato tanto, magari un pomeriggio interno senza giochi, senza tv, senza merenda. È bene che la frustrazione del genitore non vada mai a ricadere sul bambino.

 

O       Come deve comportarsi l'insegnante?

J     Collaborare alle attività di screening e segnalare i soggetti a rischio.

J     Cercare la collaborazione della famiglia e dei terapisti.

J     Modificare la didattica, avvicinandola alle necessità dei bambini con DSA.

J     Cercare di informarsi il più possibile con corsi di formazione ed incontri.

J     Favorire l’autostima del bambino.

J     Mettere in atto provvedimenti compensativi e dispensativi, come previsto dalle recenti direttive ministeriali (cfr. cap. 7).

J     Lodare, come sottolineato per i genitori.

 

O       Cosa non deve fare l'insegnante?

 

L     Far leggere ad alta voce.

L     Ridicolizzare.

L     Correggere tutti gli errori nei testi scritti. Vedersi restituire un foglio completamente striato di rosso e di blu è molto avvilente ed umiliante per il bambino. Meglio limitarsi a indicare le varie tipologie di errore.

L     Dare liste di parole da imparare.

L     Far copiare da lavagna.

L     Far copiare un lavoro già fatto.

L     Fare paragoni con i compagni.

L     Far cambiare calligrafia (spesso bambino preferisce scrivere in stampatello).

 

Nessun insegnante che abbia una minima conoscenza dei DSA potrebbe mai fare quanto riportato sopra; l'elenco si riferisce ad atteggiamenti tipici di insegnanti che confondono i bambini con DSA con bambini pigri o demotivati. Per evitarli e capirne davvero la profonda ingiustizia, basta informarsi.

 

 

 

O       Come devono comportarsi i logopedisti e i medici che seguono i bambini?

 

J    Fare una diagnosi adeguata e restituirla con chiarezza e  semplicità.

J    Programmare cicli riabilitativi per il tempo necessario, prevedendo anche periodi di pausa.

J    Spiegare a bambino, genitori e insegnanti il problema, ricordandosi sempre che la spiegazione non viene assimilata una volta per tutte, ma spesso è necessario ribadire le nozioni fondamentali (ad esempio i punti di forza del bambino).

J    Fare consulenza agli insegnanti e agli altri medici e terapisti che entrano in contatto con il bambino (ad esempio i pediatri).

J   Presentare il caso quando il bambino cambia scuola.

J   Lodare, come sottolineato per genitori ed insegnanti.

 

O       Come non devono comportarsi i logopedisti e i medici che seguono i bambini?

 

 

L      Comunicare in “buracratese” o in “medichese”: è fondamentale per i futuro del bambino ( e per la serenità della famiglia) che il problema venga compreso. Questa fase è molto delicata. Compito del medico che restituisce la diagnosi e del terapista che illustra la riabilitazione è fare in modo che ciò avvenga. Per questo è fondamentale usare un linguaggio chiaro che sia comprensibile sia al bambino che ai genitori.

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10. Perché l'inglese risulta così difficile?

Un bambino con DSA può imparare a parlare un lingua straniera, esattamente come un bambino "normale".  La lingua scritta, invece porta con sé difficoltà maggiori. Ad esempio, un bambino dislessico impiega gran parte delle sue energie a collegare i suoni con le lettere della lingua italiana, che ha "solo" 21 lettere e 33 concordanze fra grafema e fonema. Per imparare a scrivere in una lingua straniera occorre tenere a mente nuovi suoni e nuove concordanze: la lingua inglese conta 26 lettere dell'alfabeto, 45 suoni diversi nella pronuncia e circa 150 modi di scrivere questi suoni.

Inoltre non basta concordare i suoni con le lettere (attività già molto complessa), ma occorre anche ricordare il significato delle parole ed essendo l'inglese una lingua non neolatina non è neppure possibile aiutarsi con un lessico dalle origini comuni (come nel caso del francese o dello spagnolo). Riassumendo, per un bambino con DSA è meglio intraprendere lo studio di una lingua straniera solo dopo che si è raggiunta la maggior sicurezza possibile nell'ambito della lingua madre. Se vi è possibilità di scelta, meglio optare per lingue neolatine (che possiedono anche un'ortografia più trasparente). Se non vi sono possibilità di scelta, o per altri motivi si sceglie l'inglese è meglio concentrare le energie sulla lingua parlata.

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